Nel caso di demansionamento ex art. 2103 cod.civ., il presunto danno al lavoratore deve essere provato, non potendo essere considerato in re ipsa. La Cassazione ( sent. nr. 14214, 05/06/2013) torna nuovamente sulla questione, riprendendo una "storica" pronuncia delle Sezioni Unite (sent. nr. 6572/2006): per la S.C., invero, il lavoratore demansionato deve sempre e comunque dimostrare come l'attribuzione a mansioni differenti e/o meno qualificanti, abbia impoverito il suo bagaglio non soltanto professionale, ma abbia anche inciso sul suo "modus vivendi", inteso dal punto di vista delle abitudini e scelte di vita. E anche tali, ultime, circostanze devono sempre essere provate in giudizio dal lavoratore, tenendo conto della sua personalità. In altre parole, il pregiudizio non deve basarsi soltanto su una questione "tecnica" (le mansioni concretamente svolte), cioè non sarebbe sufficiente la prova di un "fare" tecnicamente meno qualificante, ma occorrerebbe anche la prova che l'attività lavorativa sia divenuta meno gratificante dal punto di vista sociale e relazionale. Non basta, quindi, un mutamento delle mansioni, ma è necessario anche il mutamento della posizione del lavoratore nella scala gerarchica aziendale, un peggioramento del rapporto tra lavoratore e realtà aziendale. In definitiva: il demansionamento deve anche mutare la personalità del soggetto, non potendo escludersi che la lesione degli interessi relazionali, connessi al rapporto di lavoro, resti sostanzialmente priva di effetti, non provochi cioè conseguenze pregiudizievoli nella sfera "soggettiva" del lavoratore, essendo garantito l'interesse prettamente patrimoniale alla prestazione retributiva.
Attenzione al caso in cui, come "regalo" di matrimonio, si doni un immobile al/alla futuro/a sposo/a: secondo una recente sentenza del Trib. di Taranto (28/06/2013), la donazione di un immobile non rientra nel concetto di "dono" per il quale è esperibile l'azione di restituzione ai sensi dell'art. 80 cod. civ. Nel caso in esame, infatti, l'attore, in vista dell'imminente matrimonio, aveva acquistato (ed intestato) un'abitazione alla compagna convivente. A seguito di "rottura" definitiva del rapporto con il partner, quindi, l'attore si rivolgeva al Tribunale per dichiarare l'inefficacia dell'atto di acquisto, ai sensi, appunto, dell'art. 80 cod.civ. Ma il Giudice gli ha dato torto. E ciò per diverse ragioni: innanzitutto perchè la donazione di un immobile non rientrerebbe nell'alveo contemplato dall'art. 80, in quanto quest'ultimo, definendo il termine "dono", intende identificare una categoria ben precisa di regali, e cioè tale termine deve intendersi nell'accezione "comune" popolare, di conseguenza ricevere "in regalo" un immobile non rientrerebbe nell' id quom plerumque accidit; inoltre, ricorda la sentenza in commento, ai sensi dell'art. 782 c.c., per le donazioni di immobili è sempre richiesta la forma scritta ad substantiam; orbene, se l'art. 80 c.c. contemplasse anche questo tipo di donazioni, in esso dovrebbe anche essere specificata espressamente la volontà di derogare alla regola generale della forma scritta, appunto...e così non è. Il Giudice ricorda, inoltre, che la ripetizione della donazione di immobile in vista delle future nozze è ben disciplinata dall'art. 785 cod. civ. (le c.d. donazioni obnuziali); sicchè spettava all'attore promuovere eventualmente il giudizio sulla base di quest'ultimo articolo, non potendo, il Giudice, d'ufficio, "trasformare" una richiesta ex art. 80 c.c. in una ex art. 785 c.c. (pena la violazione della corrispondenza tra il chiesto e il pronunziato). Infine, la sentenza rammenta anche l'art. 809 c.c., ai sensi del quale non si potrebbe nemmeno parlare di donazione obnuziale "indiretta", in quanto, quest'ultima, assolutamente non contemplata.